lunedì 22 agosto 2016

“Diario” di Sante Bovo: gli ultimi giorni della guerra partigiana a est della città di Treviso

Capitolo X  (da p. 64 a p. 75)


Azione degli ultimi giorni (Titolo originale)


«Decidemmo allora, anche consigliati da mio fratello Gino che aveva dei contatti […] di unirci a quel manipolo di persone che agiva nella zona di Silea, Roncade, Cendon, ecc.
Qui trovai i fratelli Perini. Sandor e Armando, fratelli del prode combattente Berico [Amerigo] Perini trucidato a Venezia, e che in precedenza ebbi modo di conoscerlo, e tanti altri.
Debbo dire che in un primo tempo questa Brigata chiamata “Negrin”, era formata da pochi elementi. [In realtà si trattava di un battaglione autonomo della brigata Negrin, il btg. Perini, con i fratelli Sandor/Sandro e Armando Perini rispettivamente comandante e capo di S.M. e Antonio Sellan commissario di guerra].
L’elemento uomo di questa formazione, eccezione dei quadri, era formato da persone di provenienza diversa. Chi aveva appartenuto alla Nanetti [Divisione Garibaldi “Nino Nannetti”, Vittorio Veneto - Cansiglio, comandante Francesco Pesce “Milo”], chi alla Wladimiro [Brigata garibaldina d’assalto “Wldimiro Paoli”, comandata da Silvio Fantin “Dardo”] chi come io e Cesare al S.I.M, ecc. […] L’affiatamento però fra tutti era proprio come dice la definizione del verbo, e oso dirlo ma più che fratelli, anche se si aveva modo nel pensare diverso.
Io e Cesare fornimmo a questa Brigata diversi Mauser, ma non ricordo come potemmo averli.
Come dissi eravamo in pochi, ma dopo giorni diventammo tanti e questo vuol dire che la popolazione: - e come per incanto saltarono fuori armi di tutte le specie, sentiva questo movimento d’insurrezione.
Furono prontamente istituiti dei posti di blocco in tutta la zona, per far sì: che alle volte qualche
delatore non corresse presso qualche comando nemico per avvisare, e fare isolare codesta zona, che era la più organizzata: con un impiego pronto di truppe nemiche.
Accantonamenti di truppe sia tedesche che fasciste erano ancora ben inquadrate e disponevano di un volume di fuoco molto superiore, e, sempre lo scontro fosse avvenuto di giorno e diretto, noi penso saremo stati ora  a passeggiare, come dicono gli indiani, nelle verdi praterie.
Ma questo noi l’abbiamo evitato, bastandoci solo ed essendo in ultima [alla fine della guerra] di controllarli, senza essere visti, nei loro movimenti.
Tanto più noi si era soltanto armati di armi leggere, a parte che disponevamo di Panzer Faust e alcune mitragliatrici leggere di tipo inglese e qualche Machines tedesco.
Resa della contraerea tedesca di Silea  (pp. 66 -67 - Sottotitolo del curatore)


Blocco e rastrellamento di una colonna tedesca  (p. 67 e pp. 70-73 - Sottotitolo del curatore)

L’attenzione ora era tutto rivolta alla colonna tedesca che risaliva la Triestina. Riuscimmo a bloccarla e tanti Tedeschi si dispersero nella campagna. (fuggirono)

Furono scelti per questa azione, sempre accenno anche a possibili colpi di testa del nemico, incalzato poi anche dalla colonna corrazzata Americana, gente che sapeva sparare e i più scapoli.
Il rischio era grande
Dovete sapere però che erano terrorizzati e chissà quanta propaganda assorbito, dal fazzoletto rosso.
Forse era vero e forse non ha torto il sangue.
Rosso è il sangue.
Vi era gente in mezzo a noi già braccata, gente che aveva visto tanti compagni morti, gente che aveva duramente sofferto, gente seviziata, gente impotente che aveva avuto la propria madre massacrata senza colpa, che aveva avuto la casa bruciata, gente che aveva deportato il loro congiunto. Gente insomma che aveva visto tante storture. [...]

Fine aprile 1945, strada Triestina (Callalta?).
Blocco e cattura di una colonna tedesca da parte di partigiani
della brigata Negrin, a est di Treviso. (Diario Sante Bovo)

Tanti tedeschi di questa colonna si dispersero nella campagna e compito nostro fu il rastrellamento di casolare in casolare, di siepe in siepe e fino anche nei fossi.
Ricordo che erano nel senso completo terrorrizzati, sovvenendomi questo piccolo episodio.
Il fermo della colonna ed il conseguente rastrellamento della zona fu effettuato da diverse Brigate e formazioni, ed il tutto sincronizzato, e così anche il rastrellamento. (Ora finalmente toccava a noi)
Il rastrellamento fui effettuato in gruppi di due uomini a due.
Due uniti e due distanziati di circa cinquanta metri, ed il tutto sventagliato a cerchio nella zona da rastrellare, e con una punta, più punte dico, pronte ad intervenire al minimo accenno di sparo. Le punte erano formate da più uomini, e soltanto la punta più vicina allo sparo, doveva intervenire.
Erano con precisione due semicerchi a destra e a sinistra della Triestina.
Io mi trovavo nel semicerchio sinistro.
Il diametro era formato dalla colonna tedesca corrazzata immobilizzata e ben guardata dai nostri.
Il rimanente dei nostri controllava un bel tratto della Triestina. (strada)…
Dei contadini più a cenni che a parole chiamarono.
Femmo cenno agli altri due che a poca distanza ci seguivano d’appostarsi.
Capimmo da tutto quel gesticolare, che un tedesco armato era in casa loro, e che loro per paura erano scappati.
Mi avvicinai assieme al mio compagno alla casa senza timore, ma sempre imbracciando il mitra.
In quale stanza si trovava?
Che gesto avrebbe fatto?
Chiamai nella sua lingua più volte, facendogli presente che la guerra era finita.
Scese da fienile, che era sopra la stalla.
E a mò di banderuola teneva il fucile e le gambe.
Presi il suo fucile in consegna e passai le bombe a mano al mio compagno.
Raccomandai a questo soldato, ed in quel momento non sentivo che era nemico, di tenere ben alte le braccia
Camminavo lento. Domandando sempre nella sua lingua se era sposato?
Se aveva figli?
E camminava sempre a spalla a spalla come instupidito guardandomi.
Come fossi stato un girasole.
Le domande erano secche. Ma il suo sguardo era fisso sempre nel fazzoletto rosso che indossavo.
Così come questo e tanti altri, con il mio camminare lento consegnai agli Americani.
[…]
Terminata l’operazione, incontrammo e festosa era, e come noi, anche l’unità corrazzata Americana che aveva fatto passeggiata.
Tanti sorrisi e tanti abbracci.
Ma ora penso; il tutto dei Tedeschi fu preso allora in consegna da loro, o da chi?... Ma!...
Mangiai ben volentieri un arancio, (erano anni che non ne vedevo) e mi dettero anche del cioccolato.
Scalai volentieri come libero un carro armato. (Issato)
Ma a quale prezzo?

Come ricordo di persone mi sovvengono: i Perini, Lidia, Nello, Romeo, Cesare e Gino detto pansa, e tanti altri che sarebbe lungo elencare.
E così liquidata ogni piazzola, la colonna tedesca, ed altri piccoli focolai, la zona era libera».


Nota


Nessun accenno specifico al rastrellamento di una colonna corazzata tedesca nei giorni precedenti la liberazione di Treviso è presente nel diario storico del btg. Perini. E' probabile quindi - in mancanza di testimonianze dirette - che il rastrellamento di cui parla Bovo sia in realtà quello avvenuto il 1° maggio a Monastier [che si trova sulla traversa interna che da Olmi (SS. 53) conduce a Fossalta e alla SS.14 "Triestina"]. Il primo maggio infatti il comando della Perini provvide a inviare a Monastier «un gruppo armato che contribuì, sia pure in piccola parte, alla resa delle forze nemiche». (Diari storici... , p. 387).
In quella data, al mattino verso le 8 (c'informa l'intendente "Maurizio", Diari storici… , pp. 385-386), a «Monastier stava avvenendo la battaglia che purtroppo ha fatto ancora una volta vittime tra i compagni e la popolazione. Dalla mia staffetta e dalla popolazione che fuggiva terrorizzata appresi che questa colonna era composta di circa tremila uomini equipaggiati ed armati efficacemente.
Stetti sulle mie appostazioni [con circa 70 uomini bene armati] fino all'arrivo di due autoblinde alleate che informate di quanto accadeva ritornarono a Treviso. Nel frattempo caccia alleati individuavano il combattimento persuadendo così i tedeschi alla resa.
Già sul posto, col mio gruppo collaborai con gli alleati sopraggiunti destando la loro ammirazione per il forte appoggio dato liberando anche due prigionieri neozelandesi catturati dai tedeschi.

I miei uomini portarono al Comando alleato circa 20 tedeschi con tutto l'equipaggiamento completo ma la maggior parte vestiti da borghesi».




Relazione del parroco di Spercenigo sul posto di blocco partigiano a Olmi, sulla Triestina

Posto di blocco partigiano della brigata democristiana Badini
a "Olmi di Spercenigo", sulla - SS. 53 Postumia (Triestina/Callalta).
(Cronistoria del parroco di Spercenigo don Giovanni Marangon, 27-29 aprile 1945).

Trascrizione


« ... Il 20/IV mentre il Giacomini [Walter] si trovava nella Caserma dell'esercito repubblicano a Carbonera, le Bande Nere si presentarono colà per ucciderlo. Fortunatamente, aiutato da un suo comandante, riuscì a fuggire per essere pronto la mattina del 27/IV - quando come Vice-Comandante, guidava i partigiani della Brigata "Badini" alla riscossa contro il nemico. La brigata appostò in località Olmi di Spercenigo, impedendo ogni passaggio al nemico. Un tedesco che si rifiutò di sottomettersi colla macchina che guidava, venne ucciso. Il cadavere fu deposto al Cimitero locale e alcuni documenti che teneva, con pochi biglietti da cento, vennero consegnati all'Ufficio Prigionieri di guerra presso la R.ma Curia di Treviso. Altri tedeschi con molti fascisti catturati vennero inviati alla Cartiera Burgo. L'azione terminò coll'arrivo degli Alleati che raggiunsero Fagarè della Battaglia la sera stessa del 29/IV/45».


Al posto di blocco di Olmi di cui parla il parroco di Spercenigo parteciparono anche partigiani di Giustizia e Libertà del btg. Vito Rapisardi (distaccamento di Roncade) e della Brigata garibaldina Wladimiro Paoli, alla quale gli uomini di GL si erano in quei giorni aggregati.  (Diari Storici... , pp. 725-726).
Fu in quell'occasione che venne arrestato il vicecommissario Gaetano Collotti, dell'Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza per la Venezia Giulia, di Trieste, organismo alle dirette dipendenze del Ministero dell'Interno della RSI ma di fatto sotto il controllo delle autorità tedesche che governavano Trieste e il Litorale.
Collotti, all’interno dell’Ispettorato, aveva dato vita a una squadra speciale (la “banda Collotti”) attiva nella lotta antipartigiana e nella persecuzione degli ebrei.
Sarà giustiziato dai partigiani nella cartiera di Mignagola.
Sulla sua morte si dilunga Serena (I giorni di Caino, pp. 280-283), che si concentra inoltre sulla presunta scomparsa, nell'occasione, di un grosso quantitativo di denaro e di oro, tanto da titolare il capitolo "L'oro di Olmi". Niente dicendo però sulla precedente attività del Collotti e dei suoi uomini, zelanti servitori della RSI fascista agli ordini dell'OZAK Operationszone Adriatisches Küstenland nazista.



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