lunedì 22 agosto 2016

29 aprile 1945 - La liberazione di Treviso nel diario del partigiano Sante Bovo e nei diari storici delle brigate partigiane


"Giovani patrioti alla liberazione di Valdobbiadene"
didascalia originale della foto di copertina di
Treviso nella Resistenza. (Mario Altarui, 1975).


29 aprile 1945, liberazione di Treviso - Diario di Sante Bovo

«Sembrava quasi un carnevale tutto l’affollarsi con quei vestiti di ogni foggia, e con quelle armi d’ogni tipo che ognuno brandiva quando fu deciso di dirigerci in Treviso.
Ma già che ricordo è bene che segnali il porta ordini, un certo Bernardi - già corridore specialità moto - e non auguro a nessuno di sedersi nel seggiolino posteriore della moto guidata da lui. Va bene che il suo mestiere era quello, e per perizia di guida non aveva uguali, ma comprenderete questo povero ignorante che non aveva perizia di guida, seduto tante volte alle sue spalle…
I comandanti di tutte queste formazioni che operarono si riunirono e decisero.
Così fu deciso. Chi è pratico della zona?...io - io - io - tanti io.
Ogni io fu incamerato a mezzo.
Risalimmo lungo le sponde del Sile fino al ponte della Gobba.
Eravamo ben distanziati uno dall'altro e tutti in fila indiana.
Sandor [Perini] il comandante della formazione mi battè una spalla, ed entrammo in Treviso.
Quatti quatti si può dire per non aver sorprese.
Fummo però noi i sorpresi.
Treviso se ben ricordo era già affollata e tutto lungo le mura vi era tutto un via vai di uomini armati e disarmati.
Noi prendemmo posizione sul bastione vicino porta SS Quaranta.
Faccio presente che si sapeva che una colonna corrazzata nemica, proveniente dalla Castellana, doveva transitare per Treviso, e v’era ben poco da scherzare. E deve essere stata proprio quella famigerata colonna che aveva trucidato degli innocenti nella zona del Vicentino mi sembra.
Anche in questo caso prevalse il buon senso.
Fu chiusa la porta SS Quaranta e la porta S. Tomaso, in sedi naturali, mentre gli altri varchi furono ostruiti.
Ogni capo Brigata dette ordine: facendoci circolare, fra tutti quei patrioti, di non sparare per nessun motivo. Inquantochè tutta questa emotività di patriotismo collegiale, non degenerasse invece in un inutile spargimento di sangue.
Ho adoperato nel dire patriottismo collegiale perché tanti si erano aggregati al momento, e disponevano come forza d’urto di un fucile da caccia, e poi in mezzo vi erano tante donne, e ragazzi.
Ricordo che tutti indistintamente, di ogni Brigata con veri quadri, ci femmo in quattro nell'ammonire e minacciare, chi avesse sparato.
Ben pertanto, si deve dar atto, che ben coscienti si era.
Passò così, quasi in silenzio, questa colonna.
Il mio cuore era sospeso, vedendo tutta questa gente sugli spalti delle mura.
Quasi tallonata, se ben ricordo: anche questa colonna era dagli Americani, che furono salutati con grandi evviva.
Esultai, e tutti esultarono, non più sangue.
- TREVISO ERA LIBERA -
Corsi da Piero [Galante], da Gianni [Zambelli] e da Galliano [Boccaletto], che immobilizzati: perché bastonati e torturati dalle brigate nere, erano a letto.
Non so cosa dissi a loro e cosa dissero a mè, ma guardandoci negli occhi ci capimmo».
(Pagine 73-75)




29 aprile 1945, liberazione di Treviso
Diari storici delle brigate partigiane

Da est - La marcia da Silea su Treviso descritta da Bovo (btg. "Amerigo Perini" al comando di Sandor Perini), si snoda lungo la restera del Sile ed è così sintetizzata nella relazione ufficiale della Brigata Negrin, cui il battaglione Perini apparteneva:
«Il giorno 29 una solida colonna[1] concorre all'occupazione della città, mettendosi successivamente a disposizione del Comando Militare della piazza per ulteriori combattimenti protrattisi fino al giorno 3 maggio, durante i quali il battaglione subì la perdita di un garibaldino»[2].


Da est, lungo la "Triestina" (SS. 53 Postumia)
Dal posto di blocco all'incrocio di Lanzago il btg. Fabris della brg. Wladimiro Paoli, si dirige verso Treviso entrando in città da porta Carlo Alberto, al comando di Antonio Sponchiado "Fortunello".
Questa la sua relazione, firmata assieme al commissario Egidio Boschin [“Macario”][3]:
«Verso il mezzogiorno del 29 arrivava dal comando brigata l’ordine di puntare su Treviso. Allora il reparto si divideva in due gruppi, il primo, composto di trenta uomini[4], con il compito di entrare in città, il secondo, composto di una ventina di uomini, col compito di servire di rinforzo in caso di eventuale attacco.
Il primo gruppo, armato con armi automatiche in formazione partigiana spostandosi [dalla zona di Carbonera] verso Lanzago, iniziava la marcia di occupazione su Treviso. L’ingresso nella città veniva effettuato attraverso la porta Carlo Alberto dove venivano trovati quattro tedeschi armati i quali si arrendevano senza sparare.
Il gruppo si portava quindi in piazza dei Signori mettendosi subito a disposizione del Comando militare di Piazza essendo il primo reparto armato entrato in città[5].
Poco dopo sei patriotti Fortunello [Antonio Sponchiado], Dante [Giovanni Brambullo], Pippo, Ciccio [Antonio Campion], Rovigo, Sauro [Marcello Caldato] partivano in bicicletta alla volta di Mestre, per ordine del Comando di Piazza, incontro alle truppe alleate che avanzavano da Venezia, col compito di annunciare al comando Alleato la completa liberazione della provincia di Treviso da parte delle truppe partigiane e dichiarare che le strade erano sgombre da qualsiasi ordigno esplosivo[6]. Portata a termine la missione la pattuglia, ritornata a Treviso, si ricongiungeva con il resto del reparto al quale erano stati affidati vari compiti fra i quali servizi di polizia, posto di blocco a Porta Mazzini [San Tomaso] e pattuglie mobili»[7].

Da nord-ovest convergono su Treviso i partigiani delle brigate Bavaresco e Gobbato.
Questa la relazione a firma del comandante della Bavaresco, Corrado Vanin “Sparviero”: «Alla mattina del 29 a seguito l’ordine del Comando Militare di Piazza assi[e]me alla 1° Colonna proveniente da Castagnole siamo partiti [presumibilmente dalla zona di Ponzano - Santa Bona] per l’occupazione della città di Treviso.
La marcia fu fatta a meraviglia, in pericolosissime condizioni dato che ancora si trovavano in piena efficienza i presidi della Contraerea delle Corti e delle Caserme De Dominicis. Pertanto con furbizia ed astuzia merito essenziale della guerra partigiana potevo entrare con le mie forze in Treviso città senza nessun spreco di uomini e materiale.
Entrati per Porta Caccianiga la quale è stata subito bloccata e presidiata le varie squadre prendevano subito posto nei luoghi stabiliti. Pertanto venivano occupate e presidiate Porta Calvi e Porta S. Quaranta. Pure occupato veniva il Collegio pio X ex Sede delle Brigate Nere di Treviso, dal quale venivano recuperati ingenti quantitativi di materiale bellico. Nel frattempo venivano armati e inquadrati molti volontari che prendevano posizione sulle mure per paralizzare qualsiasi tentativo di forze avversarie che tentassero di transitare nella strada di circonvallazione.
Fin dalle prime ore dell’occupazione venivano catturati e custoditi nei locali del Pio X centinaia di prigionieri tedeschi.
Il traffico sulle strade provenienti da Padova e Vicenza veniva bloccato da nostri avamposti dislocati in prossimità del bivio all'Eden.
Verso le ore 14 si veniva informati dal Comando Militare di Piazza che da Mestre doveva giungere una colonna motorizzata tedesca. Pertanto l’ordine era di lasciarla transitare dato che le armi a disposizione erano inadatte a una difesa. Abbiamo atteso tutto il pomeriggio il passaggio di questa colonna quando verso le ore 23,48 si ode contro la porta S. Quaranta una forte sparatoria di armi pesanti. Questo fatto portava il panico fra le truppe garibaldine perché tutti si attendevano l’arrivo della colonna tedesca. A presidio della porta S. Quaranta e Pio X rimanevano soltanto una ventina di patrioti, 500 prigionieri tedeschi e 7 o 8 prigionieri politici. […]»[8].
In realtà a sparare non erano i tedeschi ma l’avanguardia alleata che era giunta al bivio Eden.
A questo punto risalta la contraddizione tra quanto scrive Bovo (dopo vent'anni) sull'effettivo passaggio di una colonna tedesca da Porta SS. 40 a porta San Tomaso (lasciata transitare senza alcun attacco partigiano) e quanto invece riferisce Sparviero, cioè che nessuna colonna tedesca in realtà sfilò all'esterno delle mura di Treviso il 29 aprile.

29 aprile 1945 - Liberazione di Treviso -  Brano della relazione
del comandante della brg. Luigi Bavaresco Corrado Vanin ''Sparviero''.
(Aistresco b.7, fondo Caporizzi, fasc. Brigata Bavaresco )

Tenendo presente che la relazione di Sparviero è stata redatta a pochi giorni dai fatti verrebbe spontaneo dare più credito alla sua versione.
Tuttavia anche il comandante della brigata Gobbato, D’Artagnan[9], che guidava la 1a colonna proveniente da Castagnole, in unità d’azione con la 2a colonna di Sparviero, accenna nella sua relazione a scontri con i tedeschi avvenuti il 29 aprile da parte di due delle sue squadre.
In particolare la “squadra comando” … dopo aver recuperato vestiario, viveri e carburante nelle adiacenze della caserma De Dominicis e aver catturato oltre 100 fascisti in città, registra: «Attacco tedeschi ai giardinetti [viale Cairoli, cioè lungo la circonvallazione all'esterno delle mura] e pronto intervento di tre Bren nostri che permettono lo sganciamento delle nostre forze minacciate e successivo attacco con cattura di armi e materiale vario imprecisato»[10]. Mentre la “squadra Ivan” riporta fra l’altro un «attacco a S. Artemio contro colonna blindata tedesca. Morti e feriti tedeschi non accertati. Distruzione di tre macchine»[11].
È quindi molto probabile che almeno parte della famosa colonna tedesca di cui parlano sia Bovo sia Vanin “Sparviero” sia effettivamente passata fra Santi Quaranta e San Tomaso, attaccando in viale Cairoli un gruppo di partigiani che riuscì comunque ad allontanarsi indenne e venendo poi a sua volta attaccata a Sant'Artemio.
D'altra parte va tenuto presente che le relazioni che troviamo nei diari storici delle brigate partigiane sono spesso incomplete (o imprecise), specie quelle relative ai frenetici giorni dell’insurrezione, alla quale partecipò un gran numero di volontari che non sempre era possibile controllare.
Come ammette - e sottolinea - lo stesso D’Artagnan: «Dal giorno 29 tutte le azioni sono frazionate e le diverse squadre agiscono in settori diversi in stretta collaborazione con elementi [di] altre formazioni, ma prodigandosi al massimo ed [a]ccorrendo sempre dove la necessità è più impellente». Per questo, aggiunge D’Artagnan, «le notizie sono in[c]omplete», e conclude con rammarico che è per tale motivo che la sua brigata - malgrado i numerosi fatti d’arme cui partecipò - si è alla fine «trovata completamente sprovvista sia della preda bellica, sia dell’armamento recuperato, a tutto vantaggio dei presidi con i quali ha strettamente collaborato»[12].


Da nord est, gli uomini della brigata Bottacin, operativa nella zona di Carbonera, chiudono il cerchio giungendo in città attraverso porta Piave e prendendo «immediata posizione lungo le mura che la circoscrivono (sul tratto che da Porta S. Tommaso arriva al Macello) [13] passando alle dirette dipendenze del Comando  Militare di Piazza […] . Altri reparti mobili, invece, nella mattinata stessa riescono a circondare ed ottenere la resa dei capisaldi [Caserma Salsa e Fonderia, S. Maria del Rovere] che ancora resistono nella zona della giurisdizione della Brigata»[14].


La città è ora saldamente in mano ai partigiani.
Il prezzo pagato per la liberazione di Treviso, anche se dalle relazioni qui pubblicate non compare, fu molto alto. Solo per restare nei dintorni di capoluogo furono più di venti i caduti partigiani nella sola giornata del 29 aprile 1945. Di essi nove furono uccisi in uno scontro con i tedeschi a Quinto (al Gambero) e otto furono fucilati al cimitero di Villorba (sempre dai tedeschi in fuga).

29 aprile 1945: la fucilazione degli otto partigiani a Villorba,
nella cronistoria del parroco.

(Cronistorie di guerra ... 1939-1945, Edizioni San Liberale/Istresco, 2015)
- a cura di Erika Lorenzon - 

Dopo l'arrivo dei dirigenti del Comitato di Liberazione Nazionale in prefettura, viene diffuso il manifesto con i nomi dei nuovi amministratori.
Vengono affissi anche altri manifesti fra cui uno con l'invito alla popolazione a collaborare alla soluzione degli immani problemi lasciati dalla guerra e uno con l'omaggio ai patrioti, «questi umili e grandi Eroi, che anche nelle ore più dolorose per la Patria nostra mai hanno dubitato [e] hanno vinto più con la forza della loro indomita fede, che con la forza delle armi». [Vai alla pagina]
La giornata di domenica 29 aprile 1945 trascorre in un'atmosfera di festa che si alterna al dolore e alla preoccupazione per gli scontri che continuano nelle strade e nei paesi vicini.
Si attende l’arrivo degli alleati la cui avanguardia - dopo aver trascorso la notte all'Eden dove verso la mezzanotte, per un malinteso, c'era stato uno scambio di colpi con i partigiani che difendevano porta Santi Quaranta - giungerà in piazza dei Signori il giorno successivo, lunedì 30 aprile 1945 «alle otto precise», da piazza Noli, Corso del Popolo, via XX Settembre.
Il Commissario della Provincia, avv. Leopoldo Ramanzini e i membri del Comitato di Liberazione, scendono subito nella Piazza, «per porgere il saluto riconoscente della città».
Malgrado il clima inclemente c’è entusiasmo tra la popolazione, le sirene della torre e più ancora le campane della Cattedrale annunciano «tosto con il loro armonioso concerto, alla città ed ai sobborghi, il grande e fausto avvenimento», scrive La Vita del Popolo.
Alle 9,30 dal balcone del Palazzo della Prefettura l’avv. Costantini a nome del Comitato di Liberazione Nazionale arringa i cittadini plaudenti.
La folla continua ad ammassarsi nella piazza accogliendo con manifestazioni di giubilo le varie colonne delle truppe, che si succedono con ritmo incalzante.
Alle 17 i comandanti militari alleati sono ufficialmente ricevuti in municipio dalle nuove autorità cittadine.
Clima di festa quindi: l’arrivo degli americani certifica la fine della guerra, almeno in questo angolo d’Italia e almeno quella contro i tedeschi.

Per i fascisti, invece, che nel Veneto si erano arresi senza condizioni a Padova già nella serata del 27 aprile al Comando militare regionale del CLN[15], c’è poco da far festa.

Un regime che a Treviso aveva iniziato a spadroneggiare con l’occupazione manu militari della città nel luglio 1921[16], che aveva impedito di trovare lavoro nel pubblico impiego a chi non aveva la tessera del fascio, che aveva  incarcerato, perseguitato, confinato solo nel comune di Treviso quasi trecento persone, che durante i venti mesi della RSI - fedele alleato dell'occupante nazista - aveva torturato e ucciso centinaia di persone, continuando i rastrellamenti fino agli ultimi giorni, non poteva sperare che tutto finisse con una firma, e magari con una stretta di mano.
Dalle carceri cittadine e dal collegio Pio X, base di partenza delle squadre della morte delle brigate nere e dove i muri erano ancora impregnati del sangue dei partigiani torturati - ora che i ruoli erano cambiati e al Pio X erano i fascisti ad essere incarcerati - nella notte fra il 29 e il 30 aprile 1945, dodici di loro sono prelevati dai partigiani e portati nella riviera del Sile nel luogo in cui una decina di giorni prima erano stati fucilati e gettati nel fiume i partigiani Leonildo Angeloni, Giles Camerin e Danilo Segato.
Subiranno la stessa sorte[17].


Note

[1] La colonna che per l'antiretorico Bovo era “quasi un carnevale … con quei vestiti di ogni foggia, e con quelle armi d’ogni tipo” nel diario storico della brigata viene trasformata senza tentennamenti in una “solida colonna”.
[2] "Breve relazione sulle operazioni di guerra che portarono alla liberazione della zona di giurisdizione della brigata O. Licori -Negrin - dal 25 aprile al 3 maggio 1945". (Diari storici… , p. pp. 491-494).
Il battaglione Perini era uno dei quattro che costituivano la brigata Negrin; gli altri tre erano l'Ortolan, il Mazzucco e il Mirando. Probabilmente apparteneva a quest’ultimo battaglione il garibaldino caduto di cui parla la relazione. In tal caso si tratterebbe di Cesare Michieletto, ucciso da fuoco amico il 30 aprile, durante una perlustrazione alla ricerca di fascisti sbandati nei pressi di villa Colombina a Preganziol. (Prima che scenda il silenzio… , p. 88, testimonianza di Giovanni Zannato).
[3] Datata: «Carbonera, 15 maggio 1945» - "Corpo Volontari della Libertà / Brigata d'Assalto Wladimiro / Battaglione G. Fabris - Relazione sulle azioni militari del btg. G. Fabris svoltesi dal 25 aprile 1945". (Diari storici... , pp. 318-322).
[4] In un’altra relazione del btg. Fabris sui giorni dell’insurrezione (datata: «Comando, 15 maggio», ma non firmata), gli uomini che formavano il primo gruppo che entrò a Treviso sono indicati in cento, e sempre venti quelli del secondo gruppo. (Diari storici… , p. 329).
[5] E' comprensibile l'orgoglio del comandante Sponchiado nell'affermare di essere stato il primo ad entrare in Treviso con il suo reparto di partigiani, ma va ricordato che:
- G dal 26 aprile la compagnia Mazzini del btg. Treviso aveva occupato e presidiava il Distretto Militare che all'epoca si trovava nel complesso di Santa Caterina. Ricorda Ettore Bragaggia: «Tant’è che i primi partigiani … dal Distretto, guardando verso piazza del Grano, abbiamo visto in via Convertite - che adesso è via S. Girolamo Emiliani, e c’è l’acqua - che venivano avanti i partigiani, radenti il muro, ma noi eravamo già là». Cfr.  Aprile 1945. L'occupazione del distretto militare di Treviso nel ricordo di Ettore Bragaggia (01:47 - 02:10).
- Fin dal primo mattino di domenica 29 aprile 1945 era arrivato in città l’avvocato Leopoldo Ramanzini - il prefetto della Liberazione - con la sua scorta armata, (di cui facevano parte anche elementi di primo piano della formazione mazziniana quali Teodolfo "Toto" Tessari e Pietro Fusari) come ci informa “Treviso Liberata”, Numero unico del Comitato di Liberazione Nazionale: «La notte fra il sabato e la domenica, trascorse fra un ininterrotto fuoco di fucileria e di mitraglia, ma il nemico approfittando delle tenebre, ritirava dalla città, il grosso delle truppe. Poche forze erano rimaste in città, e queste, al mattino per tempo, venivano sopraffatte dai Partigiani che prendevano possesso di Treviso alle ore otto, ventiquattro ore prima dell’entrata dei carri armati americani. Subito dopo entrava in città il Comitato di Liberazione Nazionale, che preso possesso ufficiale degli uffici governativi e municipali, iniziava l’imponente lavoro che lo attendeva dando per prima cosa agli Alleati avanzanti, a mezzo radio, notizia della liberazione della città». (“La liberazione di Treviso da parte delle formazioni dei Volontari della Libertà”).
- Infine, il 29 aprile, il segretario del vescovo Mantiero, mons. Cesare Girotto riporta nel suo diario: «La Città è occupata dai partigiani - ore 8,30». (Cronistorie… , p. 98).
[6] Abbiamo visto nell'articolo di "Treviso Liberata" sopra citato che la notizia della liberazione della città di Treviso (non certo della provincia dove i combattimenti si protrarranno fino al 1° maggio) era comunque già stata comunicata agli alleati via radio dalle nuove autorità del CLN.
[7] Diari storici… , p. 321.
[8] Relazione del comandante della brigata “Luigi Bavaresco” dei fatti d’arme più importanti avvenuti dal giorno 25/4/45 al giorno 1/5/45, a  firma del “Comandante la Brigata” Sparviero [Corrado Vanin]. (Aistresco, b. 7, fondo Caporizzi, fasc, Divisione Sabatucci, sf. Brigata Bavaresco). Da notare l’esiguità di quella ventina di patrioti rimasti a difesa della città, durante la notte, così in contrasto con la sovrabbondanza di volontari sugli spalti durante le ore diurne. Il pensiero corre al Partigiano Jhonny, e alla difesa di Alba: «Tutti gli uomini assegnati alla difesa meridionale convennero […]. Convennero e si contarono, e si trovarono in non più di duecento. Allora scattarono. - Ma come? Eravamo duemila a prender la città? Saremo in duecento a difenderla? Dove stanno gli altri 1800?». (Ed. 2005, p. 291).
[9] D’Artagnan è il nome di battaglia di Mario Grespan, fu Angelo e di Conte Angela, classe 1919, nato a Selva del Montello e partigiano della prima ora: anzianità dall'Otto settembre 1943. (Aistresco, Fondo Caporizzi, b. 8, fasc. Brigata Pietro Gobbato).
[10] Diari storici… , p. 517.
[11] Idem, p. 518.
[12] Corpo Volontari della Libertà, brigata Gobbato: Relazione parziale sull'attività svolta dal 25 aprile al 5 maggio 1945, Selva del Montello, 15 maggio 1945. Diari storici… , pp. 516-518.
[13] Bastione di Santa Sofia.
[14] Breve relazione sulle operazioni di guerra che portarono alla liberazione della zona di giurisdizione della brigata "U. Bottacin", 25 aprile - 8 maggio 1945, in Brunetta,"1945: la Cartiera Burgo e la guerriglia in pianura ...", p. 107.
[15] Azioni militari del periodo insurrezionale che hanno condotto alla liberazione del Veneto [...], pp. 18-20. A Treviso, gli uomini della XX Brigata Nera "Cavallin" avevano anticipato il fuggi fuggi già durante la giornata del 27 aprile, senza attendere la risposta a una loro proposta di resa consegnata nelle mani del vescovo Mantiero. (Maistrello, pp. 190-191).
[16] Il 13 luglio 1921 i fascisti «devastarono le sedi repubblicane di via Manin e quelle del partito popolare in piazza Filodrammatici; distrussero le tipografie dei giornali “La Riscossa” e “Il Piave”; attaccarono, senza successo, il quartiere rosso di Fiera; intimidirono con innumerevoli azioni criminose tutta la cittadinanza. Per l’ampiezza del disegno e per l’entità dei partecipanti e dei mezzi impiegati, l’azione fascista si configurò come una vera e propria operazione bellica portata contro la comunità trevigiana nella totale inerzia, per non dire col favoreggiamento, delle autorità politiche e militari del tempo». Scattolin, Assalto a Treviso … , (IV di copertina).
[17] «Questa notte è successo un fatto di Sangue: sono stati uccise circa 12 persone in riviera: erano stati prelevati dal carcere tra i carcerati il giorno antecedente. Sua Eccellenza ha fatto presente la cosa al Comitato il quale ha risposto condividendo le idee rinnovando Sanzioni Severe». Mons. Cesare Girotto, “Agenda 1945”, in Cronistorie di guerra…, p. 99.
Cfr. lo scambio di lettere fra il vescovo Mantiero e il prefetto Ramanzini.

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